APPROFONDIMENTI

Il bridge non è soltanto un gioco, né solo uno sport. A pensarci bene – e chi lo pratica lo sa bene – è uno stile di vita. È uno splendido strumento per allenare la mente e per introdurre al ragionamento logico e matematico, e – come tale – ha un potere terapeutico nel recupero o nello stimolo di capacità cognitive, e un importante valore educativo a scuola. Due aspetti, questi, che hanno un forte significato sociale e che devono essere potenziati anche per la diffusione della nostra passione. Ed è anche una insostituibile occasione di socialità, di conoscenza e di scambio. Abitua al gioco in squadra, al rispetto delle regole, stimola l’attenzione, spinge a immedesimarsi nell’altro, a comprendere il suo modo di ragionare, ad aiutarlo e a essere da lui o lei aiutato. Quando praticato da persone di diversa età è un ottimo ponte intergenerazionale.

Nel quadro di questa visione delle cose, la nostra missione – per Statuto quella di promuovere lo sport e la cultura del bridge, di rafforzare la nostra Federazione nazionale a tutti i suoi livelli di articolazione e di vigilare e controllare il rispetto delle regole, delle procedure e soprattutto dell’etica che contraddistingue la nostre attività – è in particolare quella di curare la diffusione della nostra disciplina, specie fra i più giovani, di farla conoscere e giocare, di affermarla sempre di più come sport, per conquistarle il rilevo che merita nel più ampio panorama sportivo italiano e internazionale e combattendo perciò i radicati stereotipi che la vogliono una specie di passatempo per persone prevalentemente anziane e agiate. Per far questo, però, occorre adesso fare scelte importanti per rendere la Federazione Italiana Gioco Bridge non più soltanto un apparto amministrativo e burocratico alla fine quanto mai distante dal vissuto del nostro sport sui territori, insomma una specie di pesante “ministero” o una sorta di mera agenzia delle entrate e di riscossione dei proventi raccolti a livello locale. Ciò che bisogna fare con coraggio – consolidata la sua messa in sicurezza economica a opera della dirigenza uscente – è fare della Federazione una vera e propria struttura di supporto e di servizi alle Associazioni Sportive Dilettantistiche e alle istanze regionali e territoriali, un motore dinamico di rinnovamento all’insegna dello snellimento, dell’efficacia e dell’efficienza degli interventi, della comunicazione e del dialogo costante con i territori (con le realtà bridgiste dei luoghi, con gli Enti Locali, con il tessuto associativo e organizzativo lì presente), e in costante confronto e stimolo con il CONI e con le altre Federazioni Nazionali estere. Si tratta insomma di un rinnovamento a 360 gradi, che restituisca finalmente fiducia fra i tesserati e gli appassionati, che garantisca al nostro sport prestigio e riconoscimento, e che finalmente torni a restaurare, rafforzare e diffondere la reputazione della nostra Federazione. Occorrono a questo riguardo partecipazione e nuove regole condivise, occorrono premialità e sanzioni quando si sbaglia, occorre insomma una piena valorizzazione del merito, che è poi la linfa del successo di e in ogni disciplina sportiva.

È bene esser chiari da subito su una cosa. Per attuare una missione di questo genere serve innanzitutto professionalità. Non c’è oggi organizzazione, associazione o gruppo – per quanto formale o informale, grande o piccola – che possa sopravvivere e prosperare senza professionalità. Ma la professionalità alla quale ci riferiamo non è semplice mestierismo o mera abilità tecnica. Essa è fatta di esperienza, conoscenza e competenze tecniche. L’esperienza è un valore importante. Si costruisce nel corso del tempo, si sedimenta nella memoria e nel saper fare di tanti nostri iscritti, è un patrimonio di saperi e di abilità – sportive ma anche organizzative – che intendiamo assolutamente coinvolgere, riconoscere e responsabilizzare, ed in questo senso la strada fin qui tracciata dalle dirigenze passate, più o meno recenti o remote, è un sentiero promettente sul quale continuare ma avendo anche il coraggio di riconoscerne i vicoli ciechi e di tracciarne dunque direzioni innovative, aprendosi alla sfide dei nostri tempi e di quelle che ci riserva il futuro in un mondo completamente cambiato e invia di ulteriore radicale trasformazione. Oggi ad esempio – in un’epoca in cui la correttezza, il rispetto reciproco, l’etica della legalità, il senso del dovere in nome di principi più alti di quelli strumentali sembrano andarsi irrimediabilmente perdendo, nella società ma anche nello sport – si rende sempre più indispensabile richiamarsi ai valori di una sana competitività e di una vera sportività, fatte di agonismo e rispetto degli avversari, di vittorie e di sconfitte – ma le une senza che si trasformino in tracotanza, superbia e sterile protagonismo, le altre a patto che siano considerate e vissute come occasioni di crescita, di apprendimento e di stimolo a sfidare e a superare i propri limiti, con umiltà e fiducia in sé stessi e negli altri. Si tratta di un messaggio che aiuteremo a divulgare il più possibile attraverso campagne di informazione centralizzate e dotando il territorio delle risorse per necessarie per la partecipazione al panorama fieristico sportivo.

Quella professionalità è poi fatta di attenzione, approfondimento: in una parola, è fatta di formazione, e questo dovrà valere per la dirigenza nazionale – a cominciare dalla nuova Presidenza – così come per quella regionale e dei suoi organi e pure per quella di Circolo o ASD. Non è ad esempio possibile che – dopo la riforma dello sport attuata con D.lgs. 36/2021 e successive modifiche – la nostra Federazione nazionale non abbia di fatto un pool di fiscalisti, giuristi, manager di progetto ed esperti in materia in grado di spiegare alle associazioni dilettantistiche sportive territoriali le novità introdotte dalle nuove normative e di supportarle nel complesso lavoro di gestione delle loro realtà territoriali.  Il rinnovamento che abbiamo in mente non può limitarsi all’istanza nazionale ma deve scendere a cascata sui territori, deve contaminarsi con le cose e i bisogni che salgono dal basso, e poi da lì risalire verso l’altro, per levigare di nuovo la macchina decisionale e renderla ancora più funzionale e a misura di giocatore di bridge. Ma tutto questo ancora non basta. Quella professionalità è poi – e soprattutto – di passione, di amore, dunque di tempo dedicato e di sacrificio, di spirito solidale e di propensione all’ascolto e al dialogo, al confronto, di anteposizione dell’interesse comune a quello o a quelli privati e di parte, siano essi quelli di un singolo, di una singola associazione, di una corporazione burocratica interna.

È una cosa importante, per due ragioni. La prima è che chi è chiamato a governare deve essere un Leader. Attenzione, non un capo carismatico, che – convinto alla fine irrazionalmente di aver ragione – si pone presuntuosamente al di sopra delle regole ed è disposto a usare prepotentemente ogni mezzo per affermare e imporre la sua volontà e, alla fine, il suo tornaconto. No, il Leader è diverso: è il primo che si impegna, ascolta gli altri, ne riconosce le buone ragioni, si mette privatamente in discussione. Ma poi assume su di sé il dovere di decidere e se ne assume la responsabilità, senza trovare giustificazioni o scaricare il barile. Non solo. Una vera leadership è tale se soprattutto è capace di costruire, nel corso del tempo, una generazione di dirigenti giovani e preparati, al passo con i tempi, ai quali lasciare in futuro il testimone e che saranno chiamati a condurre la Federazione – così come le sue istanze decentrate – negli anni a venire. Insomma, un Leader è tale se crea fiducia e non divisioni, senso di responsabilità e non sostanziale indifferenza o semplice conformismo, se infine genera chi avrà il compito di sostituirlo degnamente e non se opera per assicurarsi concretamente il vuoto intorno.

La seconda ragione è che – per attuare un programma all’altezza di queste sfide – c’è bisogno di intraprendenza, creatività e apertura al rischio benché saggiamente calcolato. La nuova dirigenza non potrà assolutamente essere presieduta e formata da persone prive di stimoli o per indole consuetudinarie. Dicevamo dell’importanza cruciale dell’esperienza. Ma essa è un indispensabile valore aggiunto se costituisce la base per esplorare nuove strade e per porsi nuovi obiettivi, se insomma è indica la direzione ed è capace di far sognare. L’intraprendenza che abbiamo in mente è fatta di testa e di cuore. Ma non di pancia. Considera le variabili in campo – i vincoli e le opportunità – si pone dei traguardi realistici e non retorici o abbindolanti, soppesa i rischi e confronta costi e benefici, quindi sceglie i mezzi più adatti ma lo fa – ecco il cuore – con ragionevolezza, non sacrifica il meglio all’ottimo come un fine assoluto ma sa apprezzare e conquistare – data la situazione contingente con cui ha a che fare e in cui deve decidere – quale sia la realizzazione migliore e più soddisfacente, per ripartire da essa verso ulteriori lidi. I dirigenti di cui abbiamo bisogno guardano al futuro in prospettiva, sentendo bene dove nel presente affondano i loro piedi e calcano i loro passi. Ragionano a medio-lungo termine, non nell’immediato. Come disse qualcuno, il verso dirigente è colui che – nel fare una scelta – considera quale ricaduta essa possa avere sulle generazioni future, non solo su quelle attuali. Ci vogliono testa e cuore. Non però pancia. L’intraprendenza che serve non dilapida, non si lascia affascinare dalla fugace soddisfazione dei desideri del momento o dal bagliore di facili conquiste.

Fiducia, decisione, responsabilità, saggezza, ragionevolezza.  Ecco! Nel candidarmi alla Presidenza Nazionale della Federazione, questo sarà il mio vocabolario.